Il 10 febbraio si celebra il giorno del ricordo, in coincidenza con l'anniversario di quel trattato di pace punitivo (Parigi, 10 febbraio 1947) che comportò la perdita delle terre dell’Adriatico Orientale e l’esodo di più di 300.000 Istriani, Fiumani e Dalmati.
Noi venimmo via per sfuggire al regime comunista jugoslavo e alla sua politica di sopraffazione e di denazionalizzazione, vera e propria pulizia etnica condotta ai nostri danni tra episodi di una grande ferocia.
In Italia, dopo più di mezzo secolo d’ignoranza, d’insensibilità e d’indifferenza, sono intervenuti dei cambiamenti. Accogliendo un augurio espresso anni prima da Montanelli, il 10 febbraio 2003, il Governo dell'epoca, per bocca di Gianfranco Fini, vicepremier, chiese ufficialmente scusa ai profughi giuliano-dalmati e ai loro discendenti per la maniera in cui l’Italia li aveva per tanti anni trattati: "Il governo italiano vi chiede ufficialmente scusa per tutto ciò che è accaduto e per tutto ciò che colpevolmente i libri di scuola non hanno raccontato e insegnato". Alcune piazze e alcune strade sono state intitolate alle vittime degli eccidi commessi dai partigiani di Tito. È stato emesso un francobollo per commemorare il nostro esodo. Uno anche per ricordare il liceo ginnasio “G. R. Carli” di Pisino d’Istria.
Ma la posta con questi nuovi francobolli è giunta troppo tardi per i miei genitori e per tanti altri, che si sono spenti lontani dalle amate terre lasciando ai superstiti un lutto perenne per quel mondo distrutto.
“Finalmente, mi sono comunque detto, finalmente un popolo esce dall’ombra.” Un popolo che ha dovuto un’infinità di volte sorbirsi l’attributo di ‘slavo’, mentre tenaci i mass media italiani hanno sempre usato il nome slavo – Pula, Rijeka, Pazin… – per le nostre località di nascita dall’antico nome italiano. Il non riconoscimento – ad un individuo, ad un gruppo, ad un popolo – del suo passato e della sua identità è un grave diniego che fa tremendamente male.
I giuliano-dalmati e i loro figli si sono inseriti pacificamente e silenziosamente nei nuovi approdi. Noi esuli non abbiamo espresso violenze, terrorismo e neppure un revanscismo urlante. Nella mite Italia è fiorito invece il terrorismo delle Brigate Rosse; rosse come la stella-emblema dei nostri carnefici.
I Giuliano-Dalmati hanno avuto diritto, in Italia, per tanti anni, alla celebrazione di Tito e del suo magnifico mosaico di popoli. Alla fine però il laboratorio jugoslavo, edificato anche sui nostri morti, è esploso nel sangue. Il “nuovo uomo socialista”, esperto in autogestione e campione d’antifascismo, acclamato nei consessi internazionali ed oggetto di forti invidie in Italia, ha così potuto riproporre ai suoi vicini di casa la pulizia etnica e gli antichi metodi di morte. Questa volta, però, sotto i riflettori dei mass media.
In Italia, paese dall’antipatriottismo viscerale, l’apertura agli esuli trova i suoi accaniti resistenti. Per certuni di Rifondazione comunista, sui morti della foiba di Basovizza “non c’è nulla di dimostrato”. A Marghera, per l’intitolazione di una piazza ai trucidati delle foibe, un commando di estrema sinistra sferrò un attacco violento contro i partecipanti. Diverse targhe ricordo sono state nel corso degli anni vandalizzate. Anche quest'anno, apprendiamo dai giornali: "Foibe: sfregio alla targa commemorativa", " Bandiere comuniste e jugoslave nel corteo dei centri sociali contro le foibe." Per la sindaca di Genova Vincenzi le foibe vanno ricondotte al fascismo: "Le foibe vanno ricordate nel contesto del fascismo." Non solo: un sondaggio choc rivela che ben 6 italiani su 10 non sanno cosa siano le foibe."
Ma ormai qualcuno parla, comunque, di noi: noi, il popolo che non esisteva. Al di là delle ideologie, dei discorsi di parte e di partito, dei distinguo e delle insinuazioni, e al di là della vera commozione, o anche dei clichés retorici rarissimi in verità, che si riconosca infine che quel trattato di pace sancì la sconfitta dell’Italia, con una resa incondizionata, e con la mutilazione del territorio nazionale, e con l’esodo di una popolazione inerme che ha vissuto delle tremende pagine di storia e che reca ancora oggi nel cuore un incancellabile fardello di memorie.
Claudio (Montréal), 9/2/2012