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(Tratto da: Geoffrey Hull, “Etnie” nùmers 13 e 14 (1987-88) )
Nell’isolare dal sistema linguistico italiano le parlate ladine, Ascoli lasciò in un limbo terminologico i dialetti che il Biondelli, trentanni prima, aveva denominato “gallo-italici”.1 Secondo lillustre dialettologo goriziano, il piemontese, il ligure, il lombardo e lemiliano-romagnolo “si distaccano dal sistema italiano vero e proprio, ma pur non entrano a far parte di alcun sistema neolatino estraneo allItalia”.
(2)Durante i primi decenni dellunità nazionale i glottologi provarono a definire più chiaramente lo status del “gallo-italico” nei confronti del ladino da un lato e dei dialetti peninsulari dallaltro. In quellepoca di nazionalismo esasperato era difficile che lindagine non assumesse toni politici.
Parecchi studiosi infatti si sentivano in dovere di dimostrare a priori litalianità sia del gallo-italico sia del ladino, mentre linsistenza di altri linguisti (soprattutto germanofoni) sulla fisionomia palesemente galloromanza dei due gruppi non poteva allora non sembrare colorita di pregiudizi antirisorgimentali. (3) Che la lingua indigena della Val Padana, regione da considerarsi la pietra angolare dellunità italiana, potesse risultare dallanalisi strutturalista sorella del francese e solo cugina del toscano era per molti una considerazione tanto intollerabile quanto eretica. Venne dunque canonizzato un sistema di classificazione specificamente italiano e ribadito più dalla tradizione classicista che dal metodo scientifico in base al quale “italiani” (o “italoromanzi”) risultavano quei dialetti che si erano da tempo subordinati al toscano letterario. (4) Secondo un tale criterio un dialetto come lemiliano o il ticinese, che condivide tutte o quasi tutte le caratteristiche fondamentali col francese, poteva definirsi senza tema di errore “italiano”. Per chi non accetta la tesi italianista la denominazione di “gallo-italico”, applicata a vernacoli parlati sì in territorio politicamente italiano ma a nord della nota linea La Spezia-Rimini, rimane inesatta nonché ingannevole. Anche ammettendo limportanza psicologica dellorientaniento culturale, è difficile capire come sia possibile dedurre da aspetti secondari (che costituiscono daltronde solo una patina di “superstrato”) che tale dialetto sia strutturalmente italoromanzo: nessuno si sognerebbe per esempio di definire il còrso dialetto galloromanzo a cagione degli influssi genovesi e poi francesi che lo trasfomano da secoli. Riteniamo dunque sostanzialmente giusto il giudizio dei vari specialisti di glottologia romanza che considerano il cosiddetto “alto-italiano” come parte integrante del sistema galloromanzo e parente stretto del francese (incluso il franco-provenzale) e delloccitano catalano. (5) E diremmo con Pierre Bec che il termine “gallo-italico” va corretto in “galloromanzo cisalpino” o “galloromanzo italiano” (qui “italiano” si intende in senso rigorosamente extralinguistico).
La classificazione spoliticizzata dei dialetti della Padania ha inevitabilmente modificato la concezione del ladino come unità linguistica indipendente dal “ramo padano dellitaloromanzo”. Anche i ladinisti più accaniti hanno potuto trascendere la loro posizione di difesa di una favella che sin dal Medioevo si era sviluppata fuori dalla sfera culturale italiana, col guardare oltre gli italianismi superficiali dei dialetti della pianura. Molti di loro si sono infatti dichiarati aperti alla tesi di unoriginaria unità reto-cisalpina, a patto che si rinunci a ogni tentativo di collegare questo sistema allitaliano vero e proprio. (6) Si ammette che la “conquista toscana” della Val Padana nel Rinascimento abbia portato a una certa italianizzazione del vernacolo galloromanzo (o potremmo dire, ladino) di questa zona (7), e che sono appunto le aree marginali chiamate più tardi “Ladinia” che conservarono incontaminata (prescindendo da forti influssi tedeschi nei Grigioni e nel Tirolo) loriginaria tradizione linguistica della Padania. Nel 1982 ho presentato una tesi di dottorato di ricerca col titolo inglese di The Linguistic Unity of Northern Italy and Rhaetia in cui ho tentato di delineare lo sviluppo storico e la fisionomia attuale dei dialetti ladini e padani.(8) Lipotizzata unità lho ribattezzata “padanese”, coniazione che si vuol riferire alla Padania linguistica anziché geografica (cioè allanfizona reto-cisalpina) e necessitata dal fatto che laggettivo padano indica proprianiente la lingua di solo il bacino del Po.
La Padania: terra gallica nel mondo italico
È risaputo che nella struttura etnica dellItalia la principale linea divisoria coincide quasi perfettamente con il crinale degli Appennini tosco-erniliani. A nord di questa linea si era stabilita in tempi antichi una popolazione celtica o celtizzata la cui terra fu chiamala Gallia Cisalpina dai Romani che la conquistarono fra il 193 e il 78 a.C. Venti secoli più tardi lantropologia della Padania è poco cambiata, nonostante la profonda romanizzazione della zona e la seriore affermazione di una civiltà tosco-italiana: razza compattamente brachicefalica anziché mesocefalica o dolicocefalica come nella Penisola; abitazioni popolari di tipo alpino o subalpino anziché mediterraneo; consumo di prodotti bovini anziché ovini e cottura al burro anziché allolio; canto polifonico, sillabico e narrativo anziché solistico, melismatico e lirico; coscienza linguistica e filosofica tendenzialmente analitica anziché sintetica, e così via.
La suddivisione dellItalia in due diocesi (con le capitali rispettive a Roma e a Milano) compiuta da Diocleziano nel 298 d.C. non solo mise in rilievo le esistenti differenze etniche e ambientali delle due Italie, ma inserì la Padania pienamente nel nuovo e opulento mondo galloromano che aveva da tempo eclissato Roma e il suo retroterra peninsulare. Ciò è confermato tra laltro dalla tradizione scolastica latina che si mantenne più salda in Padania che nella Penisola e dal prestigio della chiesa ambrosiana nei cui santuari si celebrava una liturgia di tipo gallicano piuttosto che romano e i cui fedeli erano stati convertiti “freschi” dal paganesimo e non tramite un elemento cristiano greco nella popolazione locale. Si svilupparono quindi nellItalia continentale dialetti di stampo galloromanzo che non dovevano essere diversi in nessun particolare importante dal proto-francese. Al potente superstrato franco della Francia settentrionale corrisponde in Padania la doppia presenza longobarda e franca. Nel tardo Medioevo si erano diffuse nel Nord le lingue letterarie francese e provenzale che erano così accessibili ai cisalpini da ostacolare, alla vigilia del “miracolo fiorentino”, la formazione di una genuina e duratura koiné padana. (9)
Se i Longobardi non avessero aggregato la Toscana al loro regno padano è chiaro che sarebbero sorte due nazioni sul territorio dellitalia augustea, così diverse fra di loro come la spagnuola e la francese. Legata politicaniente e culturalmente al Nord, la Toscana, regione “meridionale”, si andò arricchendo di correnti provenienti dalla Gallo-romania. Il suo dialetto, pur conservando la sua struttura italoromanza, sintrise di elementi padani. Ne risultò una trasformazione fisionomica che consentì al toscano di diventare la perfetta koiné italica e, con lascesa dei grandi autori fiorentini, la sola lingua letteraria capace di riunire in ununica nazione ideale la Padania gallica e le terre toscoitaliche ed elleniche della Penisola e delle Isole. La fiorente civiltà comunale della Padania medioevale è, per altro, inseparabile dal coevo fenomeno toscano. Si era infatti formata una sfera di cultura tosco-padana nella quale Firenze assunse presto il predominio, tantè vero che quasi lintera Padania accolse senza esitazioni la civiltà rinascimentale irradiata dalla Toscana, e rinunciò – pare per sempre – a ogni vera ambizione di crearsi una propria lingua letteraria comune radicata nella parlata materna. Nellambito di questa moderna Italia la Padania fu destinata a rimanere una provincia di carattere ambiguo: italiana di cultura elevata, ma galloromana nelle sue tradizioni popolari. Solo i futuri Ladini, cioè i “lombardi” delle zone alpine dominate dagli Alemanni e dai Bavaresi, si erano sottratti a questo processo centrifugo.
Oggi i padani si definiscono spontaneamente italiani settentrionali, sentendosi infatti così italiani da poter asserire sciovinisticamente che “lItalia finisce al Po” o perlomeno “agli Appennini”. Non manca chi ritiene che la stessa nozione di unetnia padana distinta da quella italiana sia del tutto assurda.(10) Può essere anche vero. Nondimeno rimangono saldissimi i tratti distintivi della lingua ereditaria di questi “italiani settentrionali”, la quale, dopo quattordici secoli di simbiosi tosco-padana, si mantiene più galloromana che mai. Diremmo inoltre che la frantumazione dialettale, normalissima in una lingua eteronoma che non è mai stata codificata, non è neppure progredita al punto di alterarne lunità fondamentale. In questa unità faremmo rientrare, con solo limitate riserve, il friulano, il ladino dolomitico e svizzero, e i dialetti lievemente italianizzati della Liguria, del Veneto e dellIstria.
Limitazioni di spazio ci permettono di accennare soltanto brevemente ad alcuni dei tratti specifici delle parlate padanesi, di cui intendiamo soprattutto segnalare quegli aspetti che le separano in modo vistoso dai dialetti italiani e che mettono in risalto la loro parentela con le altre varietà del galloromanzo.
Le diverse forme dialettali sono state di proposito ridotte a prototipi retocisalpini raccolti in una grafia unitaria di tipo etimologico e capace di abbracciare ogni variante fonetica.(11)
Nel vocalismo tonico spicca anzitutto la potenziale dittongazione di tutte le vocali toniche in posizione libera(12): i tipi reto-cisalpini mär (növ) concordano pienamente con il francese mer, poil, saveur, miei, neuf, mentre discordano dalle forme mare, pelo, sapore, mele, nove del toscano popolare e dei dialetti metafonizzanti della Penisola stricto sensu.(13) Sono caratteristiche di gran parte della Padania i fonemi palatali ü (lat. U) e ö (üo < uo < lat. O); probabili riflessi dellantico sostrato gallico del paese: nelle zone centrali e occidentali si pronuncia infatti mür, cör, più o meno come in francese (mur, coeur), e tali suoni sono indigeni in Padania e non “stranieri” o “francesi” come credono tanti.(14) Il padanese, come il francese, ha sviluppato una serie di vocali nasali toniche, così i tipi paun/pan, serein, bon (bõ), vin (v~i) corrispondono al fr. pain, serein, bon, vin. Ma il tratto più importante del vocalismo del padanese quale lingua galloromanza è senzaltro la caduta regolare di tutte le vocali atone finali eccetto -a: camp campo, part parte, quist questi (ma pòrta, fenèstra).
Non esiterei ad asserire che ovunque incontriamo in territorio padano forme intere come campo, parte, quisti (cioè in Liguria, nel Veneto, e in parte altrove), si tratta in realtà di influssi peninsulari (italoromanzi) recenti o medioevali.
Profonde differenze strutturali segnano pure il sistema consonantico del gruppo reto-cisalpino di fronte allitaliano. Oltre allo scempiamento delle doppie (copa coppa, maza ammazza) e allindebolimento delle scempie intervocaliche LATINU > ladin, SECURU > segur, SUDARE > suar, SCALA > scara), sono da notarsi lormai rara palatalizzazione spontanea (nellovest) o reattiva (nellest) delle velari (castel, gat, formiga) (7) e tendenze fonetiche quali la soluzione galloromanza dei nessi -ct-, -cs- (-x-) (FACTU > fait, fac, LAXARE > laissar, lasar), la riduzione di -gli- a -j- (fója foglia, aj aglio) e la desonorizzazione delle finali (neiv > neif neve, verd > vert verde).
I fattori principali della scissione fra i dialetti montani (alpini ed appenninici) da una parte e le parlate della pianura dallaltra sono i medesimi che vengono invocati dagli studiosi favorevoli allindipendenza del “ladino” (per loro solo il grigionese, il dolomitico e il friulano) dal “padano”. In realtà si tratta delle differenze tra dialetti conservativi o addirittura arcaici e dialetti innovatori (e spesso aperti a potenti influssi italiani). A parte qualche particolarità del vocalismo tonico (ad es. resti dellantica metafonia galloromanza nella Ladinia occidentale e centrale e in Romagna, e le dittongazioni spontanee del friulano) osserviamo nella fisionomia delle varietà periferiche del padanese una forte resistenza a quelle assimilazioni di fonemi consonantici che in pianura hanno portato tra laltro allassimilazione di c, g (ciel > tsiel > siel, gent > dzent > zent), alla mutazione di g, s, z, ts, dz (ga > ga > dza > za già, pes > pes pesce, bazar > bazar baciare, tsapa > sapa zappa, mèdza > mèza mezza), al ripristino di -d- (dal lat. -D-: crua > cruda) e alla palatalizzazione dei gruppi pl, bl, fi, cl, gi (blanc > bianc, clav > ciav = cav).
Perduta in vaste aree della bassa Padania è anche la -s finale, un tempo normale in forme sostantivali e verbali: las casas / les cases > la casa / le case, tu tires > tu tir(e), egl mòrts i morti > i mòrt.
Segnaliamo qualche altra caratteristica della morfosintassi del retocisalpino nella quale sussistono tuttora tutti i più importanti elementi e tendenze del galloromanzo comune. Nei dialetti più genuini gli aggettivi ubbidiscono a un unico modello, come avviene in francese, ad es. un om fòrt ~ una femna fòrta un homme fort ~ une femme forte. Pure obbligatorio è luso del soggetto pronominale con le forme finite del verbo: eu vuogl voglio, tu dis dici, ieu eu vegn (in pianura mi eu vegn) io vengo: si confrontino i costrutti francesi je veux, tu dis, moi je viens. Le parlate cisalpine aggiungono volentieri questo pronome a quello relativo (tipo la tousa che (el) la canta la ragazza che canta). Il tipo di costrutto om va (=francese on va si va), una volta alquanto diffuso in territorio cisalpino, ha soppiantato nei dialetti della Lombardia orientale le forme di quarta persona del verbo: lom. em porta = portem portiamo (cfr. on porte = nous portons nel francese popolare). Unaltra caratteristica condivisa con il francese è luso dellatono eu (< EGO) alla quarta (e alla quinta) persona del verbo: eu rivem = jarrivons (forma dialettale per nous arrivons). In quasi tutta la sezione cisalpina dellanfizona si notano sostituzioni di certi pronomi personali, cioè lui rimpiazza él tonico, e similmente élla cede a liei, éls, éllas / élles > lour loro, ieu > mi io, tu > ti tu, mei > mi me, tei-ti te, gli > ghe gli, le. Interessante la presenza, sia in padanese che in francese, di un pronome impersonale, probabile relitto (calcato) del superstrato germanico, ad es. el me par mi pare, el coventa partir bisogna partire (cfr. il me parait, il faut partir).
Un aspetto del verbo padanese che è arrivato a investire la sintassi dellitaliano del Nord è la sostituzione del perfetto col passato remoto il quale sopravvive però come tempo letterario e persiste in qualche vernacolo emiliano-romagnolo. Litaliano regionale offre anche frequenti riflessi di altri tratti della sintassi indigena: alludiamo ai costrutti èsser drieu a + infinito per indicare azioni continue (les drieu a seriver sta scrivendo, cfr. in qualche dialetto francese il tipo il est après décrire); alla negazione dellimperativo mediante il verbo star (no star a cridar non gridare); alluso obbligatorio di un avverbio rafforzativo nelle espressioni negative (el (no) parla miga il ne parle pas/(mie), tu (no) dormes brixa / (bric, nient, pa ecc.) tu ne dors pas); e allanalogo rafforzamento dei dimostrativi (questa cadriega qui cette chaise-ci, quel prieved li ce prêtre-là).
Fra i pronomi indefiniti, gli avverbi, le preposizioni e le congiunzioni si rivelano numerose le formazioni prettamente padanesi come negun nessuno, nuglia, negot(a) niente, vergot(a), alc, alchet qualcosa, medem stesso, minca ogni, massa troppo, avonda, assai abbastanza. nomai soltanto, just(a) appena, appunto, debon, dessèn davvero, cour(a) quando, encuoi (uoi, oz) oggi, ancamò, amò ancora, drieu, davors dietro; dopo, despuoi da allora (fr. depuis). Notevolissimo il fenomeno de verbo localizzato, di ispirazione germanica, ad es. star sus alzarsi, meter sus erigere, trasios demolire.
La maggior parte del vocabolario comune dei dialetti reto-cisalpini consiste di termini romanzi e latini che si trovano in tutte le lingue neolatine dellEuropa occidentale e centrale. Assai più ristretti numericamente sono i relitti dei sostrati gallico e pregallico e gli apporti lessicali del superstrato germanico dellalto Medioevo. Imponente invece è linflusso dei recenti superstrati e adstrati sui diversi dialetti padanesi, soprattutto lelemento italiano nel lessico del padano (incluso il friulano) e lelemento alto-tedesco e tedesco moderno nel ladino grigionese e dolomitico. Vistosi, seppur meno importanti, sono i prestiti francesi e occitanici in piemontese. Quello che ci interessa in modo particolare è però il lessico tipico del padanese concepito come unità linguistica.
Molto significative sono le numerose voci che confermano la stretta parentela fra il padanese e le altre lingue galloromanze, ad es. àmeda zia (fr. tante), av nonno (fr. aïeul), cadriega sedia (fr. chaise), fat insipido (fr. fade), feida pecora (occ. feda), got bicchiere (occ. got, fr. godet), empremudar prendere a prestito (fr. emprunter), maxon (fr. maison), mogliar bagnare (fr. mouiller), mocar spegnere (fr. moucher), menton mento (fr. menton), meisson messe (fr. moisson), mica pagnotta (fr. miche), nèza nipote, f. (fr. nièce), paveglion farfalla (fr. pavillon, papillon), plorar, plurar piangere (fr. pleurer), saxon stagione (fr. saison). Un numero discreto di vocaboli troppo antichi per potersi definire prestiti dallitaliano sono in compenso testimonianza della secolare orientazione meridionale della Padania, ad es. bevolc bifolco, cadin catino, descedar destare, grem grembo, ledam letame, menestra, mescedar mescitare, miz / niz mézzo, massaira massaia, piegora, spuzar puzzare, regordar ricordare, refudar rifiutare, roncar, seron siero. Nessuna di queste voci si riscontra nel galloromanzo transalpino.
Abbiamo poi unabbondanza di vocaboli padanesi che non sono sempre collegabili a lessemi francesi e occitanici, ma che contrastano tuttavia con luso lessicale della Toscana e della Penisola in generale. Formano così parte del lessico padanese classico: barba (m.) zio, barbix baffi, biàdeg nipotino, hboleid fungo, bugnon fignolo, calegair calzolaio, calzair scarpa, çanc sinistro, catar trovare; raccogliere, cegaira nebbia, cioc ubriaco, cocombre cetriolo, compagn simile, covatar nascondere, coprire, coveida brama, cop tegolo, cosp zoccolo, (em)pizar accendere, fallar sbagliare, forcellina (piron) forchetta, formenton granturco, franc lira, geld frigido, gnec malaticcio, liguoir ramarro, luxour splendore, marangon falegname, molleta arrotino, muola macina, padimar consolare, presça fretta, rampin gancio, rauba cosa, ladin sciolto, ninzar intaccare, scolpire, lugànega salsiccia, pander annunciare, rexentar sciaquare, sabla, sablon rena, sangueta mignatta, segar falciare, sarir sarchiare, sopressar stirare, tòc pezzo, tomàtes pomodoro, travonder inghiottire, tuoisseg veleno, zivolar (sublar) fischiare.
Lunità lessicale del padanese, come quella di qualsiasi lingua frantumata, è naturalmente relativa. Per un gran numero di concetti i dialetti occidentali presentano una voce sconosciuta in quelli orientali, e viceversa. Nella seguente lista di doppioni il primo termine è sempre quello occidentale: bigat / cavalier baco da seta, brèn, crusca / sémola, rémol(a) crusca, càmola / tarma tigna, ferrair / favre fabbro, gudaz, padrin / sàntol padrino (tosc. compare), lassair / lagar lasciare, lavandin / seglair acquaio, mascherpa / poïna ricotta, ninçuola / noxella nocciuola, pigliar / tuor prendere, senestre / çanc sinistro, solair / granair soffitta, tiret / casset cassetto. Unaltra importante divisione lessematica contrasta luso cisalpino con quello retico (e con questultimo concorda talvolta anche il ladino delle Dolomiti). Al retico baselga corrisponde il cisalpino gliesia chiesa, e così anche caxuol / formàdeg, formaj cacio, formaggio, clauder / serrar chiudere, còcen / ross rosso, coudex / libre libro, èdema / setema(u)na settimana, figliol / figlioç figlioccio, folin / calijen fuliggine, jentar / disnar pranzare, lisura / jointura congiuntura, meil / pom mela, meisa / taula tavola, mur / rat, pondeg, sourex topo, neir / negre nero, saglir / saultar saltare, solegl / soul sole, tema / pavoira paura, zevrar / deslaitar, desierar divezzare (cf. il fr. sevrer).
Conclusione
Ammessa la fondamentale unità delle parlate reto-cisalpine si pone la questione della loro unificazione. Il sistema di trascrizione che abbiamo elaborato sul fondamento delle caratteristiche comuni del gruppo costituisce una base formale capace di servire non solo da spunto per una riforma (o sistemazione) ortografica dei singoli dialetti padanesi, ma si presta anche come codice in cui registrare il ricchissimo ma mai radunato tesoro lessicale della lingua.
Anche chi dubita del valore di una sintetica koiné padanese destinata a concorrere anacronisticamente con litaliano pan-padano, non potrà smentire lauspicabilità, sia pure solo come compito scientifico, di un equivalente cisalpino del Tresor dòu Felibrige e dei dizionari pan-occitanici compilati nei decenni recenti.
Allo scopo di illustrare la fattibilità dellunificazione ortografica – il primo passo verso la creazione di una koiné reto-cisalpina – presentiamo sotto otto branetti tolti da vari autori dialettali, tutti ridotti alla nostra comune “grafia padanese” e paragonati con lattuale grafia regionale:
1. Piemontese
Puoi pauc a pauc el ha mollau de cau la pluova e el soul, surtend fòra da les nìvoles, el ha fait luxer ent laria les ùltimes stizes. Entloura eu son surtiu encima a laira a cuoglier les granes de tempèsta chelles eren ancoura nient sleguades. Les gallines elles cacaraven chelles semegliaven mates e les rondolines empleniven laria degl suoi squiz, voland tut en gir a la cassina.
Peui pòch a pòch a lha molà d cò la pieuva e 1 sol, surtend fòra da le nìvole, lha fàit luse ant laria jùltime stisse. Anlora i son surtì ansima a làira a cheuje le gran-e d tempesta cha jero ancora nen slinguà. Le galin-e cacaravo cha smijavo mate e le rondolin-e ampinìo laria dij sò squiss, voland tut an gir a la cassin-a.
2. Lombardo occidentale (milanese)
(Eu) sera setada en tèrra, col cau en maun, e egl gombed sugl genuogl: me zifolava el vent ent egl cavegl: demanamaun che vegneiva un quagl bof, el me portava come una voux che vegna de lontaun: ella me pareiva la soa voux, (eu) alzava egl uogl, (eu) guardava entorna: ma el es nuoit, el es senza luna, e no se ved negot. (Eu) clame. Pedrin! Pedrin!. Neissun respond.
Sera settada in terra, col coo in man, e i gombet sui genoeucc: me ziffolava el vent in di cavij: demeneman che vegneva on quaj bôff, el me portava come ona vôs che vegna de lontan: la me pareva la soa vôs, alzava i oeucc, guardava intorna: ma lè nott, lè senza luna, e no se vede nagott. Ciami. Pedrin! Pedrin!. Nissun respond.
3. Ligure (genovese)
Cruoses rìpides, streites, lastregades da riçuogl redondi con la passiera de madoin. Cruosetes fra does muraglies flanchejades da lo passaman de fèrro e dagl lampioin. Portetes misteriouses vernixades de verde con targheta e sonaglin. Copies [cobles] fermes ent egl canti plui appartades, dònnes dagl portelleti degl balcoin.
Crêuze ripide, strèite, lastregae da rissêu riondi co a passüa de möin. Crêuzette fra due mûage fiarichezzae da-o passaman de faero e dai lampioin. Portette misteriose vernixae de verde con targhetta e sûnaggin. Coppie ferme in ti canti ciù appartae, donne da-i portelletti di barcoin.
4. Romagnolo
Un tòc, les does, el sona el campanon. Per la contrada les scarpes elles baten sugl saiss e drenta les cambres chi senten egl nuostre pass egl scrichen egl lieit de fòglies de formenton. Un àndit scur, un gat e puoi a lí sota el lum muna fenéstra bassa; drenta una vècia [vègia] a smasar ent una cassa: les does de la nuoit (a), per una berreta rota!
Un tòc, al dò, e sòuna e Campanòun. Par la cuntrèda al schèrpi al batt si sas e dréinta al cambri chi sint i nóst pass e scréca i létt ad fôi d furmantòun. Un andìt schéur, un gatt e pu a lè sòta ancòura e lóm muna finèstra bassa; dréinta una vècia a smasè tuna cassa: al dò dla nòta, pruna brèta ròta!
5. Veneto (feltrino rustico)
Sot un covèrt larg ghe nes una plui bèlla fontana che buta; denanzi les fenèstres vasi de flours, dentorn a la casa, el par che sia sempre fèsfa, che ghe nes un orden e una netixia straordenaria; en tèrra no se vedereiv una paglia, gnanca a cercar-la. Un bèl tosat, mòro, el es sentau sus una banca piturada de verd; el guarda pensieriouso sus per egl bosc; el ha la fuma en boca, quasi studada.
Sot on cuert larc ghe nè na pì bela fontana che buta; denanzi le finestre vasi de fior; dintorn a la casa, l par che sia sempre festa, chè ghe nè n orden e na netisia straordenargia; in tera no se vederee na paja, gnanca a zercarla. N bel tosat, moro, lè sentà su na banca piturada de vert; el varda pensieroso su pa i bosc; là la fuma in boca, quasi stuada.
6. Friulano
Egl ieren tre quatre dis che Linda ella aveva alc. A no aveir mai nuglia, alc el es alc! Linda ella iera contenta. “Gli el dixerai esnuoit,” ella pensà dut el di. Sierrada lostaria – egl sierraven atorn dieix – egl cenaren come sempre, lour doi de bessogl, dessovra. Ella lavò la massaría, la meté sul desgotaplats. Lui el era quiet e el sbesegliava plancut depruouv de un campanèl elétric. “Marfin!. eu hai un fruit!”
A jerin tre quatri dîs che Linde e veve alc. A no vê mai nuje, alc al è alc! Linde e jere contente. “J al disarai usgnot”, e pensà dut il di. Siarade lostarie – a siaravin tôr dîs – a cenàrin come simpri, lôr doi di bessoi, disore. E lavà la massarie, la meté sul disgoteplàz. Lui al jere cuiet e al sbisiave plancut daprûf di un campanel eletric. “Martin!. o ai un frut!”
7. Ladino dolomitico (gardenese)
Encuoi, doménega., davors la gran messa avomnos tòlt comiau de nòssi òmes sun plaza de gliexa. El capellan Favé ha teniu una rexonada e ha dait la bendizion a quegl, che mosseiva laissar lencasa, senza saveir se egl la podeiva vedeir amò una vegada. Gent braglava. Anca vègli egl aveiva las làgremes ent egl uogli. Quegl che fòva stati cridai a jir a combater, se òva amò pestau e ordenau.
Ncuëi, dumënia, dò la gran messa ons tëut cumià da nosc uëmes sun piaza de dlieja. L caplan Favé a tenì na rujnèda y à dat la bendiscion a chëi, che messòva iascé l ncësa, zënza savëi, sce i la pudòva udëi mò n iëde. Jent bradlava. Nce vedli ëi òva la lègrimes ti uëdli. Chëi che fòva stac cherdei a jì a cumbater, se òva mò pistà e urdenà.
8. Ladino retico (alto engadinese)
El stoveiva ensèn bauld rir, courchel vegnif (f)òr del tren. Seguentre dex-sèt ans dabsenza torneiva el a casa e sortiva una stazion mema bauld. Apòsta. Negun no lo speitaeiva e segur che negun no brameiva sieu arriv. Seguentre aveir depositau sias dos greivas valis se metet el en via vèrs casa. Ensí, cols mauns vuoids e senza peis terrestre, voleiva el far quel ùltim tuoc via chi lera stada ensí crapousa el di de sia partenza!
El stuvaiva insè bod rir, cur chel gnit our dal tren. Zieva deschset ans dabsenza turnaiva el a chesa e sortiva üna staziun memma bod. Aposta. Üngün nul spettaiva e sgür chüngün nu bramaiva sieu arriv. Zieva avair deposito sias duos greivas valischs as mettet el in via vers chesa. Uschè, culs mauns vöds e sainza pais terrester, vulaiva ci fer quel ultim töch via chi leira steda uschè crappusa il di da sia partenza!
Varianti unificabili di ununica lingua, o tante piccole lingue. È la discussione delle caratteristiche ideali dellauspicata lingua padanese (e le scelte arbitrarie che tale lavoro di sintesi richiederebbe): la affidiamo al futuro e alla volontà collettiva degli eredi del patrimonio linguistico che accomuna i popoli dellItalia settentrionale e della Svizzera meridionale.
Intanto, per terminare il presente discorso, do un breve campione del linguaggio sintetico in cui ho tradotto il Vangelo di San Marco. Sono stati adoperati, oltre la grafia unificata, un consonantismo conservativo, un vocalismo evoluto più o meno simile a quello che sta alla base del milanese, una morfosintassi “cisalpina” ispirata al friulano, e un lessico volutamente panpadanese. Ecco i primi undici versetti del primo capitolo:
El Vangeli De Saint Marc
tradoit en lengua padaneisa
Capitol prim
Comenzament del Vangeli de Jesus Crist, Figl de Dieu, co chel es scrit en Isaia el profeta: “Guardaid, eu tramete el mieu nonzi denanz de tei, chel te pareja la via”. La voux dun chi clama ent el desért: “Preparaid la via del Segnour, egualivaid les soes sendes!” Ensi compari Joan ent el desèrt a batejar e a predegar un bateisem de penitenza per el perdon degl pecai. E lentriega contrada de Judea e tuit egl abitants de Jerusalem jiven depruov a lui e se faxeiven batejar de lui ent el flum Jordaun, confessand egl lor pecai. Joan era vestiu de peil de cameil e el portava una ceinta de coiram entorn de la vita. El manjava cigales e miel selvàdega. E el predegava ensì: “Davors de mei el vein un chi es plui possent che ieu, e eu no sont miga degn de sbassar-me per desnoar les correjes degl suoi calzairs. Ieu eu vos hai batejai ent laigua, ma lui el vos batejarà ent el Spirit Saint”.
Ent quel dis Jesus rivà de Nazaret de Galilea e vans batejau de Joan ent el Jordaun. E pròpi co chel vegniva fuor de laigua, el ciel se dervi e om vit a vegnir jos souvra de lui el Spirit Saint en forma duna colomba. E una voux rivà del ciel dixend: “Tu ses el mieu Figl amau, en tei eu hai el mieu plaxeir”.
Note
1 Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, 1853. Vedasi in particolare pp. xxi-xxii.
2 G.I. Ascoli, “LItalia dialettale”, AGI VIII (1882), p. 103. Da notarsi che lAscoli escluse dal gruppo gallo-italico i dialetti veneti i quali considerava più affini al toscano.
3 Le argomentazioni a favore dellitalianità del ladino e del gallo-italico, tesi formulata e sostenuta da Carlo Salvioni, furono riassunte alla vigilia della seconda guerra mondiale da Carlo Battisti in Storia della Questione Ladina, Firenze, Le Monnier, 1937. Si veda anche G.B. Pellegrini “A proposito di ladino e Ladini” in Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano, Bari, Adriatica, 1972, pp. 96-130.
4 È indicativa laffermazione di G.B. Pellegrini nel suo saggio “I cinque misteri dellitalo-romanzo”: “.con italo-romanzo alludo alle varie parlate della penisola e delle Isole che hanno scelto, già da tempo, come lingua guida litaliano” (Saggi di linguistica italiana, Torino, Boringhieri, 1975, pp.56-7).
5 Scrive loccitanista Pierre Bec: “Ad un tempo innovatore e arcaizzante di fronte al gallo-italico, il reto-friulano devessere ad ogni modo integrato allinsieme tipologico galloromanzo italiano o cisalpino, del quale costituisce. unarea marginale e conservatrice”. (Manuel pratique de philologie romane, Paris, Picard, 1970-71, vol. II, p. 316).
(6) Significative le concessioni condizionali del ladinista Lois Craffonara: <…anche se si potesse un giorno provare conlusivamente una anteriore ladinità dellantica Venezia e delle zone contigue che oggi appartengono senza dubbio allitalo-romanzo [per noi il veneto è bensì un dialetto padano italianizzato], no esiste tuttavia nessun motivo per considerare i dialetti della Sella e del Friuli come dialetti periferici del sistema italiano, poiché resta incontrovertibile il fatto che la vecchia Padania apparteneva alla Galloromania. Quindi i nostri dialetti rimangono -anche nel caso di uneventuale dimostrazione delloriginaria ladinità della zona veneta- relitti di una romanità un tempo estesa ma distinta da quella italiana> (“Zur Stellung der Sellamundarten in romanischen Sprachraum”, in Ladinia, Sföi cultural dai Ladins dles Dolomites, 1 (1977), pp 73-120). Lo svizzero Andrea Schorta ha concepito addirittura una maggiore unità ladino-cisalpina (“Il rumantsch – grischun sco favella neolatina”, Annalas da la Società Retorumantscha, LXXII (1959), pp 44-63), e il suo connazionale Heinrich Schmid afferma del pari che: (“Über Randgebiete und Sprachgrenzen”, Voz Romanica, XV (1956), pp. 79-80);
(7) Litalianizzazione della Liguria e del Veneto (evidente anzitutto nel ripristino del vocalismo atono finale) era iniziata invece già nellalto Medioevo come conseguenza di contatti marittimi e mercantili con la Penisola;
(8) Tesi di Ph.D. inedita, Università di Sidney, 1982, 2 volumi;
(9) V.G. Devoto, Il linguaggio dItalia, Milano, Rizzoli, 1974, pp. 238-39. La cosiddetta (e in realtà poco unitaria) koiné padana in questepoca fu, come il vernacolo veneto contemporaneo, un idioma italianeggiante anziché consapevolmente galloroamnzo.
(10) Per Sergio Salvi lidea è più anacronistica che assurda. Ne scrive a proposito in “Lingue taliate” (Milano, Rizzoli, 1975): (pp. 85-85, n° 9)
